Homo faber: artifex suae fortunae

Diario di bordo di Giancarlo Nicoli, titolare della Artifex. Sono qui ospitati: pensieri, aggiornamenti, notizie, progetti relativi alla casa editrice e al suo sito internet.

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Località: Italy

27 settembre 2006

Giovanni Gronchi

Montanelli – Novant’anni controcorrente «Montanelli, che non lo amava, scriverà di lui nel 1993: «Gronchi che, come Principe della partitocrazia può essere preso a modello, quando andava a inaugurare uno stabilimento e nel salone di rappresentanza vedeva un quadro d’autore, si guardava bene dall’esigerlo. Faceva solo sapere all’anfitrione, attraverso qualche intermediario, che lo aveva molto ammirato. L’anfitrione poteva benissimo non capire. Invece capiva, anzi era felice di capire e di agire di conseguenza: tanto spontaneo e naturale è da noi l’ex-voto non solo per grazia ricevuta, ma anche per quella da ricevere.»


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 299

21 settembre 2006

I sogni muoiono all'alba - Ungheria 1956

Montanelli – Novant’anni controcorrente «Sì, la società ungherese è in pezzi, dopo undici anni di regime comunista. Non ha più una gerarchia. Non ha più una economia. La sua industria è a livello di quella dei kirghisi. La sua agricoltura è alla deriva. Mai, credo, si era visto in Europa un fallimento così clamoroso, sfacciato, mortificante […]. Eppure, questa società di operai, di studenti e di contadini in cenci e ciabatte, questa società socialista, in cui non è più discernibile nessun brandello, né fisico né morale, di aristocrazia e di borghesia, emerge da undici anni di comunismo con un orgoglio, con un rispetto di se stessa, con una serietà d’impegni, con un’eroica determinatezza, con un senso drammatico della vita, dinanzi ai quali io borghese di occidente, mi sono sentito coperto di vergogna. Cosa spingeva costoro a ammucchiare i propri cadaveri sotto i cingoli dei carri armati sovietici?
«A Budapest il comunismo è morto: lo dico con profonda convinzione. E non c’è artificio dialettico che possa resuscitarlo. Di esso non rimane che un esercito irto di cannoni, che sparano contro gli operai, gli studenti e i contadini. Dei comunisti stranieri, che hanno assistito a questo fenomeno, uno solo, italiano, ha finto di negarlo: il senatore Cappellini che, trovatovisi per caso nel suo viaggio di ritorno da Mosca, domandò al nostro ministro Franco, fra una crisi e l’altra di terrore (ma quando si predica la rivoluzione, senatore, si ha il dovere di assistervi con un po’ più di sangue freddo), se non erano gli agenti del capitalismo a aver provocato quel “guaio”. Tutti gli altri hanno visto, hanno compreso, e dove non hanno avuto la possibilità di dire, hanno avuto il pudore di non smentire. Come potrebbero, del resto, smentire lo sciopero generale che tuttora continua con gran disperazione di Kádár e dei padroni russi? Lo sciopero, non la “serrata”.»


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 288

17 settembre 2006

8 settembre 1943

Montanelli – Novant’anni controcorrente «L’armistizio, prim’ancora della disfatta, l’aveva umiliato. Scriverà molti decenni dopo, in risposta a un giovane, che «il grosso e grossolano errore commesso dall’Italia non fu la resa che ormai non potevamo evitare, né oltre dilazionare; ma l’intervento in una guerra che il Duce credeva già vinta dall’alleato. Tutto questo ormai è pacifico: credo che nessuna persona di buon senso ne dubiti. Quello che io, con la mia flebile voce, ho sempre contestato e continuo a trovare vergognoso, fu il nostro modo di arrenderci. Noi eravamo un Paese vinto, che non si batteva più nemmeno per difendere il proprio suolo. Gli anglo-americani avevano preparato lo sbarco in Sicilia come un assaggio o prova generale di quello che si apprestavano a fare in Normandia. E a accoglierli trovarono invece della gente che gli batteva le mani e gli chiedeva scatolame, cioccolata e sigarette.
Cos’altro poteva fare, se non arrendersi, il governo di un popolo che si era già arreso? Solo che la resa potevamo farla in due modi: alle spalle e all’insaputa dell’alleato, oppure avvertendolo che lo avremmo fatto perché non avevamo alternativa. Scegliendo la seconda strada, noi non avremmo salvato nulla, come nulla salvammo scegliendo la prima. Nulla, meno una piccola cosa, a cui noi italiani non diamo mai alcun peso: l’onore. Vinti sì, come può capitare a qualsiasi esercito e a qualsiasi popolo. Traditori, no.»


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 171

16 settembre 2006

I cento giorni della Finlandia

Montanelli – Novant’anni controcorrente «Il servizio che mi lanciò, la guerra di Finlandia. Mi trovavo per caso in Germania nell’agosto del 1939, quando scoppiò la guerra perché il Reich attaccò la Polonia. Essendo già sul posto, il “Corriere” mi incaricò di fare le corrispondenze dal fronte polacco. Scrissi articoli tanto maliziosi che i tedeschi mi espulsero dalla Germania; e fecero bene: io tenevo spudoratamente per i polacchi. Allora tornai in Estonia, dove in passato ero stato un anno come professore universitario. Proprio in quel periodo i russi invasero Estonia, Lettonia e Lituania, in seguito al patto Hitler-Stalin, e così mi capitò il servizio anche di quest’invasione russa. Ma, presa l’Estonia, mi espulsero stavolta i russi e, dovendo scegliere una destinazione qualunque, passai in Finlandia: e mi trovai coinvolto nella guerra d’aggressione sovietica a quel popolo eroico. Le mie prime corrispondenze furono tali da tagliar corto a ogni possibilità di concorrenza all’interno del mio giornale. Il direttore mi confermò l’incarico dal fronte. Seppi interpretare l’opinione della gente, che era poi la mia stessa opinione, come mi succede sempre: la gente era tutta per la Finlandia, come io stesso ero per la Finlandia. Il servizio mi costò grossi rischi, una fatica immensa, fame, freddo, un inverno infernale. Ma fu la mia rampa di lancio.»


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 145

14 settembre 2006

L'incontro con Adolf Hitler

Montanelli – Novant’anni controcorrente «Il 1° settembre, prima che ai giornalisti venissero bloccate le linee, Montanelli era riuscito alle 10.45 a informare gli stenografi del «Corriere» che intorno alle 5 del mattino le truppe tedesche avevano invaso la Polonia. Nient’altro poté fare. La notte del 3 settembre – quando già da otto ore Francia e Inghilterra avevano dichiarato guerra alla Germania – viaggiando in Mercedes si portò in territorio polacco dove, davanti alla città di Bromberg, gli accadde d’incontrare (me lo confermarono sia Albert Speer sia Adolf Galland, che anni dopo Montanelli m’aveva inviato a intervistare) Adolf Hitler in persona.
Il Führer, informatosi chi fosse «quel giovane alto e biondo, in borghese» che assisteva fuori dall’auto al passaggio di truppe corazzate,saputo ch’era italiano fece bloccare la propria Mercedes-Benz, scese, gli si pose davanti e, come se avesse parlato a cinquanta milioni d’italiani, gli tuonò in faccia uno dei suoi lunghi e prolissi discorsi, per quasi dieci minuti, tutto basato sulla “guerra esterna” (…). Come Montanelli mi mostrò da un taccuino su cui aveva preso appunti che gli servirono per il libro La lezione polacca (1942), precisò che Hitler così aveva concluso (…):«Condurrò questa battaglia, contro chiunque, fino a quando i diritti non saranno garantiti» eccetera, eccetera.
«E sai che accadde?» mi raccontava Montanelli. «Accadde che io, la notte del 5 settembre, mi fiondai a Berlino, pagai 100 marchi al barista di una Stübe per chiamare il “Corriere”. Borelli stava uscendo, non capì bene, ma mi disse comunque di lasciar perdere. Cadde la linea, quando richiamai non c’era più. Trovai un dittafonista, non ne rammento il nome, cui dettai a braccio una rapida corrispondenza. L’indomani, in ambasciata, mi chiama Borelli. M’aspetto da lui le più vive congratulazioni eccetera. E invece no. Mi dà del baro, del truffatore, dell’incompetente. Poi, parecchi mesi dopo, quando si convinse che avevo detto la verità, e che quel colloquio c’era stato sul serio, trasse dal cassetto tre cartelle battute a macchina, con su scritto di suo pugno con una matita rossa: “Palle!!”. E, pentendosene, mi chiese scusa: da allora la smise di contestarmi i pezzi. Per quello su Hitler, mi disse che la faccenda era troppo delicata per l’Italia, che in quel momento stava “in posizione neutrale” eccetera. Ma aggiunse nel suo dialetto calabrese: “Chi servi a curti mori allu pagliaru”. Gliene domandai la traduzione. “Chi serve a corte muore sulla paglia.” E aggiunse: “Un direttore fa i controlli e poi si trova buggerato… Che peccato per il tuo pezzo, diavolo d’un diavolo…”.»


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 142

10 settembre 2006

«Omnibus», di Leo Longanesi

Montanelli – Novant’anni controcorrente «Leo accolse Indro con un’occhiata astiosa: a lui, “nano di Strapaese”, appena sopra il metro e cinquanta, i tipi alti proprio non piacevano. Montanelli gli disse subito (l’aveva saputo pochi minuti prima da Maccari, che aveva lo studio lì accanto, in via del Sudario) che l’articolo di apertura di Carlo Scarfoglio su Léon Blum, con una grande foto a quattro colonne, aveva strappato una bestemmia a Mussolini. «Spii? Sei una spia?» lo aggredì subito Leo, brandendo un paio di forbici. E Indro: «Non arrivo a piegarmi, i buchi della serratura sono troppo in giù. E lei?». «Lascia perdere, dammi del tu». La loro amicizia cominciò così, consolidandosi in un rapporto di collaborazione che si protrasse per vent’anni, sino alla morte di Longanesi (27 settembre 1957).
Lì, sul tavolone in via del Sudario, sfogliarono insieme quel primo numero di «Omnibus». Costava una lira, aveva sedici paginone, più grandi di quelle d’un quotidiano, splendide fotografie e eccellenti servizi. Sotto l’apertura di Scarfoglio su Blum, spiegava Leo, forse sarebbe stato meglio mettere l’articolo di Lloyd George (intitolato Verso la guerra, un efferato calcio negli stinchi al Regno Unito) che stava invece in seconda pagina. Seguiva in terza una grande foto di Mussolini, «perché questa ci vuole,» Leo disse ridendo «non sono stato forse io a dire per primo che “Mussolini ha sempre ragione”?… Così, se qualche gerarca ci rompe le scatole, io posso sempre ricorrere al duce». La lezione continuò: «Meglio comunque l’articolo che vi sta sotto, firmato “Omnibus” ma di Mario Missiroli che fascista non è ma forse vorrebbe esserlo, anche se in realtà – lui che sa tutto e lo scrive con mani da pianista – una cosa soltanto ignora, cioè quello che in realtà è…».
Non si sarebbe abituato mai, Montanelli, alle sue folgoranti battute («Il fascismo conosce i nostri lati deboli, è la sua sola forza»; «Bisogna trovare un fratello al Milite Ignoto»; «Col tempo e con le cariche si marciscono i gerarchi»; «Sbagliando s’impera») perché Leo le rinnovava di continuo, aveva orrore della ripetizione. Su quel capostipite, insuperato, d’ogni rotocalco d’Italia – da «L’Europeo» e «L’Espresso» di Benedetti a «Il Mondo» di Pannunzio che la lezione l’appresero lì – Leo cominciò a far scrivere l’amico (…)»


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 100

09 settembre 2006

La "velina" della sera prima

Montanelli – Novant’anni controcorrente «Faceva sempre più caldo, la brulicante Massaua già s’intravedeva dai tornanti, affacciata sul porto e il mare gremiti di navi. Montanelli trasse di tasca una “velina” della sera prima, arrivata alla Stefani da Roma: «Non pretermettere di tratteggiare sempre il quadro ideale dell’impresa: mettere in risalto la gratitudine delle popolazioni indigene affrancate dal dispotismo scioano, glorificare il soldato-contadino che alterna l’uso del fucile a quello della vanga». Nel buttarla dal finestrino, sospirò. La molla, in lui, a furia di scattare a vuoto, stava per spezzarsi.»


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 94

08 settembre 2006

In Italia si legge poco perché manca una vera borghesia

Montanelli – Novant’anni controcorrente «Tutto questo, precisava Montanelli, come del resto mirabilmente aveva scritto nell’Italia della Controriforma al di là delle riserve degli “storici ufficiali”, ebbe una seconda conseguenza: «In Italia si legge poco, lo scoprii in quell’agosto del ’34… Perché manca un pubblico. Mancando una vera borghesia, come poteva qui da noi esserci un pubblico? Tanto che l’uomo di lettere o l’artista sono sempre stati costretti a mettersi al servizio del Principe. Te ne accorgi anche nella pittura dove in Italia – agl’interni borghesi e alle scene di vita familiare dei quadri cinque-secenteschi nord-europei, da Vermeer a Frans Hals a Rubens – si contrappone invece la perenne presenza di Madonne e Santi, oppure del Principe, tra i figli del Principe con accanto i cani del Principe…».
Ulteriore conseguenza della Controriforma, precisò a Prezzolini, fu il ritardo dell’Italia a farsi Stato nazionale, per l’opposizione secolare della Chiesa protrattasi oltre Pio IX. Anche per questo, disse all’amico, venne il fascismo, come “fattuale dittatura” per consolidare l’edificio unitario reso fragile da quel “ritardo” provocato, come causa pur remota, dalla Controriforma: «E fu la conclusione inevitabile della serie di “dittature parlamentari” che caratterizzò la storia nostra dal 1861: la “dittatura parlamentare” di Cavour e della Destra storica, poi quella della Sinistra storica con Depretis, seguita dalla “quasi dittatura Crispina”, dall’egemonia pur democraticissima di Giolitti cui nel 1922, in modi totalizzanti e totalitari, subentrò quasi deterministicamente Mussolini, e, dopo il 1945, la Dc nel “bipolarismo imperfetto” provocato dal Pci legato a Mosca…».


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 59

05 settembre 2006

La lettura diretta della Bibbia

Montanelli – Novant’anni controcorrente «Accadde che – riesaminando con occhi più attenti Risorgimento senza eroi di Gobetti – Montanelli risalì a due capi d’opera della più salda cultura laica d’Occidente, Il borghese di Werner Sombart e l’Etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber.
Li aveva acquistati da Seeber poco prima della partenza per Grenoble, e ne fu subito entusiasta. Pur fervidamente mussoliniano, cresciuto e allevato in un regime che aveva voluto i Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, e con una madre profondamente cattolica, quei due libri accentuarono le sue simpatie per il protestantesimo che, correlate all’assoluta laicità della Destra storica, con il passare degli anni lo porterà via via a posizioni sempre più critiche verso il potere temporale vaticano. Soprattutto, in quell’agosto 1934, in Sombart e Weber colse genialmente un duplice nesso, sostanziale per la sua futura divulgazione storica: tra Riforma e liberalismo e, all’opposto, tra Controriforma e fascismo.
Ricordò questa sua importante intuizione, a fine aprile 1974, nella casa di via Motta in Lugano a Prezzolini, che nella sede cantonale della radio ticinese aveva appena presentato «il Giornale», a poco meno d’un mese dall’uscita nelle edicole. Gli fece le lodi del calvinismo, “scoperto” nel ’34. E al grande vecchio, che gli obiettò i contributi della «Roma del cristianesimo trionfante» all’Umanesimo e alla Rinascenza, Montanelli rispose (ero presente) che la Chiesa, con il Concilio di Trento, aveva annichilito nella penisola la nascita della borghesia, dello Stato nazionale sino a favorire, come causa pur remota, l’avvento del fascismo.
Sostanzialmente disse: «Qui da noi, lo hai del resto scritto nel tuo bel libro L’Italia finisce, ecco quel che resta, al “cittadino” la Chiesa ha sempre privilegiato il “credente”. Lo capii nell’agosto del 1934, leggendo Sombart e Weber. Entrambi sostengono che la mercatura e le spinte imprenditoriali, fin dal Trecento fiorentissime attraverso le Repubbliche marinare anche nel nostro Sud, furono mortificate dalla Controriforma. Il profitto venne bollato come usura. Nonostante questo, nel Settentrione d’Italia ma senz’escludere la Toscana in cui nacquero il libero commercio e la cambiale, lo spirito d’impresa non s’annichilì del tutto. Sia per i riverberi, dalla Francia, di quel succedaneo del calvinismo che furono Giansenio e Port-Royal. E lascia stare il fatto che Braudel dica il contrario, affermando che il mercantilismo borghese si sviluppò nel Mediterraneo in modi ben superiori a quelli dei Paesi protestanti… Io continuo a credere che abbiano ragione Sombart e Weber. La borghesia, qui da noi, è ancora di là da venire. Lassù, la lettura diretta della Bibbia consente da secoli ai credenti di non aver bisogno, com’impone invece il cattolicesimo, della mediazione ecclesiale. E li fa liberi. In più, la teoria della predestinazione, sostenendo che i “premiati dal Signore” lo sono anche in quanto aspirano alla ricchezza e la conseguono, rafforzò l’orgoglio e la consapevolezza, in tutti loro, di rappresentare una “nuova classe” borghese. Proprio il contrario di quanto accadde in Italia, specie nel Sud, dove la nascente borghesia, sottomessa ai dettami tridentini, preferì inserirsi nella “classe vecchia”, nobiliare e reddituaria, abbandonando ogni spirito d’impresa con l’acquisto di terre che davano diritto a un titolo. Cioè infeudandosi».


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 58

03 settembre 2006

Opachi impiegati del giornalismo

Montanelli – Novant’anni controcorrente «Il duce invitò Ricci e i suoi a scrivere sul «Popolo d’Italia», dove anche Indro pubblicò qualche pezzo nella rubrica Bazar. Ma Ricci montò la guardia, impedendo ai propri giovani di naufragare nel conformismo. Aveva compreso a che mirava quella proposta: a trasformarli da “ribelli” in opachi impiegati del giornalismo, come i tempi richiedevano.»


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 57

02 settembre 2006

«La Voce» (1909-1913) di Prezzolini

Montanelli – Novant’anni controcorrente «Quattordicenne, nella biblioteca di Rieti, cominciò a leggere «La Voce» (1909-1913) di Prezzolini, poi definita da Malaparte «la serra calda del fascismo e dell’antifascismo» perché vi collaborarono Mussolini e Amendola, Croce e Gentile, Soffici e Salvemini. E intuì perché quel raffinato quanto pragmatico intellettuale ch’era Prezzolini, vero sprovincializzatore della cultura italiana all’alba del Novecento, aveva scelto dal mazzo – chiamandolo a collaborare e pubblicandogli nei «Quaderni della Voce» Il Trentino veduto da un socialista (1911) – un giovanotto autodidatta come Mussolini, per di più massimalista: avendone cioè compreso quel pragmatismo che gli avrebbe poi consentito, già nel 1921, d’abbandonare fulmineo il programma dei Fasci di combattimento (23 marzo 1919) e di consegnarsi, pur riluttante, agli agrari. Affermerà Montanelli: «Il fascismo, nato come movimento di sinistra a opera di futuristi e anarco-sindacalisti in piazza San Sepolcro, diventò poi espressione di una piccola borghesia urbana per essere quindi confiscato – con grande disperazione dello stesso Mussolini – non dalla borghesia industriale come è stato detto, ma dagli agrari padani e toscani che gli avevano impresso il loro marchio reazionario.»


Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag.39