L'incontro con Adolf Hitler
«Il 1° settembre, prima che ai giornalisti venissero bloccate le linee, Montanelli era riuscito alle 10.45 a informare gli stenografi del «Corriere» che intorno alle 5 del mattino le truppe tedesche avevano invaso la Polonia. Nient’altro poté fare. La notte del 3 settembre – quando già da otto ore Francia e Inghilterra avevano dichiarato guerra alla Germania – viaggiando in Mercedes si portò in territorio polacco dove, davanti alla città di Bromberg, gli accadde d’incontrare (me lo confermarono sia Albert Speer sia Adolf Galland, che anni dopo Montanelli m’aveva inviato a intervistare) Adolf Hitler in persona.
Il Führer, informatosi chi fosse «quel giovane alto e biondo, in borghese» che assisteva fuori dall’auto al passaggio di truppe corazzate,saputo ch’era italiano fece bloccare la propria Mercedes-Benz, scese, gli si pose davanti e, come se avesse parlato a cinquanta milioni d’italiani, gli tuonò in faccia uno dei suoi lunghi e prolissi discorsi, per quasi dieci minuti, tutto basato sulla “guerra esterna” (…). Come Montanelli mi mostrò da un taccuino su cui aveva preso appunti che gli servirono per il libro La lezione polacca (1942), precisò che Hitler così aveva concluso (…):«Condurrò questa battaglia, contro chiunque, fino a quando i diritti non saranno garantiti» eccetera, eccetera.
«E sai che accadde?» mi raccontava Montanelli. «Accadde che io, la notte del 5 settembre, mi fiondai a Berlino, pagai 100 marchi al barista di una Stübe per chiamare il “Corriere”. Borelli stava uscendo, non capì bene, ma mi disse comunque di lasciar perdere. Cadde la linea, quando richiamai non c’era più. Trovai un dittafonista, non ne rammento il nome, cui dettai a braccio una rapida corrispondenza. L’indomani, in ambasciata, mi chiama Borelli. M’aspetto da lui le più vive congratulazioni eccetera. E invece no. Mi dà del baro, del truffatore, dell’incompetente. Poi, parecchi mesi dopo, quando si convinse che avevo detto la verità, e che quel colloquio c’era stato sul serio, trasse dal cassetto tre cartelle battute a macchina, con su scritto di suo pugno con una matita rossa: “Palle!!”. E, pentendosene, mi chiese scusa: da allora la smise di contestarmi i pezzi. Per quello su Hitler, mi disse che la faccenda era troppo delicata per l’Italia, che in quel momento stava “in posizione neutrale” eccetera. Ma aggiunse nel suo dialetto calabrese: “Chi servi a curti mori allu pagliaru”. Gliene domandai la traduzione. “Chi serve a corte muore sulla paglia.” E aggiunse: “Un direttore fa i controlli e poi si trova buggerato… Che peccato per il tuo pezzo, diavolo d’un diavolo…”.»
Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 142
Il Führer, informatosi chi fosse «quel giovane alto e biondo, in borghese» che assisteva fuori dall’auto al passaggio di truppe corazzate,saputo ch’era italiano fece bloccare la propria Mercedes-Benz, scese, gli si pose davanti e, come se avesse parlato a cinquanta milioni d’italiani, gli tuonò in faccia uno dei suoi lunghi e prolissi discorsi, per quasi dieci minuti, tutto basato sulla “guerra esterna” (…). Come Montanelli mi mostrò da un taccuino su cui aveva preso appunti che gli servirono per il libro La lezione polacca (1942), precisò che Hitler così aveva concluso (…):«Condurrò questa battaglia, contro chiunque, fino a quando i diritti non saranno garantiti» eccetera, eccetera.
«E sai che accadde?» mi raccontava Montanelli. «Accadde che io, la notte del 5 settembre, mi fiondai a Berlino, pagai 100 marchi al barista di una Stübe per chiamare il “Corriere”. Borelli stava uscendo, non capì bene, ma mi disse comunque di lasciar perdere. Cadde la linea, quando richiamai non c’era più. Trovai un dittafonista, non ne rammento il nome, cui dettai a braccio una rapida corrispondenza. L’indomani, in ambasciata, mi chiama Borelli. M’aspetto da lui le più vive congratulazioni eccetera. E invece no. Mi dà del baro, del truffatore, dell’incompetente. Poi, parecchi mesi dopo, quando si convinse che avevo detto la verità, e che quel colloquio c’era stato sul serio, trasse dal cassetto tre cartelle battute a macchina, con su scritto di suo pugno con una matita rossa: “Palle!!”. E, pentendosene, mi chiese scusa: da allora la smise di contestarmi i pezzi. Per quello su Hitler, mi disse che la faccenda era troppo delicata per l’Italia, che in quel momento stava “in posizione neutrale” eccetera. Ma aggiunse nel suo dialetto calabrese: “Chi servi a curti mori allu pagliaru”. Gliene domandai la traduzione. “Chi serve a corte muore sulla paglia.” E aggiunse: “Un direttore fa i controlli e poi si trova buggerato… Che peccato per il tuo pezzo, diavolo d’un diavolo…”.»
Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 142
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