I sogni muoiono all'alba - Ungheria 1956
«Sì, la società ungherese è in pezzi, dopo undici anni di regime comunista. Non ha più una gerarchia. Non ha più una economia. La sua industria è a livello di quella dei kirghisi. La sua agricoltura è alla deriva. Mai, credo, si era visto in Europa un fallimento così clamoroso, sfacciato, mortificante […]. Eppure, questa società di operai, di studenti e di contadini in cenci e ciabatte, questa società socialista, in cui non è più discernibile nessun brandello, né fisico né morale, di aristocrazia e di borghesia, emerge da undici anni di comunismo con un orgoglio, con un rispetto di se stessa, con una serietà d’impegni, con un’eroica determinatezza, con un senso drammatico della vita, dinanzi ai quali io borghese di occidente, mi sono sentito coperto di vergogna. Cosa spingeva costoro a ammucchiare i propri cadaveri sotto i cingoli dei carri armati sovietici?
«A Budapest il comunismo è morto: lo dico con profonda convinzione. E non c’è artificio dialettico che possa resuscitarlo. Di esso non rimane che un esercito irto di cannoni, che sparano contro gli operai, gli studenti e i contadini. Dei comunisti stranieri, che hanno assistito a questo fenomeno, uno solo, italiano, ha finto di negarlo: il senatore Cappellini che, trovatovisi per caso nel suo viaggio di ritorno da Mosca, domandò al nostro ministro Franco, fra una crisi e l’altra di terrore (ma quando si predica la rivoluzione, senatore, si ha il dovere di assistervi con un po’ più di sangue freddo), se non erano gli agenti del capitalismo a aver provocato quel “guaio”. Tutti gli altri hanno visto, hanno compreso, e dove non hanno avuto la possibilità di dire, hanno avuto il pudore di non smentire. Come potrebbero, del resto, smentire lo sciopero generale che tuttora continua con gran disperazione di Kádár e dei padroni russi? Lo sciopero, non la “serrata”.»
Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 288
«A Budapest il comunismo è morto: lo dico con profonda convinzione. E non c’è artificio dialettico che possa resuscitarlo. Di esso non rimane che un esercito irto di cannoni, che sparano contro gli operai, gli studenti e i contadini. Dei comunisti stranieri, che hanno assistito a questo fenomeno, uno solo, italiano, ha finto di negarlo: il senatore Cappellini che, trovatovisi per caso nel suo viaggio di ritorno da Mosca, domandò al nostro ministro Franco, fra una crisi e l’altra di terrore (ma quando si predica la rivoluzione, senatore, si ha il dovere di assistervi con un po’ più di sangue freddo), se non erano gli agenti del capitalismo a aver provocato quel “guaio”. Tutti gli altri hanno visto, hanno compreso, e dove non hanno avuto la possibilità di dire, hanno avuto il pudore di non smentire. Come potrebbero, del resto, smentire lo sciopero generale che tuttora continua con gran disperazione di Kádár e dei padroni russi? Lo sciopero, non la “serrata”.»
Staglieno, Marcello, Montanelli – Novant’anni controcorrente, “Le Scie”, 1a ed., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001 (1a ed. Oscar bestsellers 2002), pp. 495 - pag. 288
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