Homo faber: artifex suae fortunae

Diario di bordo di Giancarlo Nicoli, titolare della Artifex. Sono qui ospitati: pensieri, aggiornamenti, notizie, progetti relativi alla casa editrice e al suo sito internet.

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Località: Italy

25 novembre 2005

Rischiare la galera

«Se per caso vi frullasse nel cervello la tentazione di raccontare addirittura – come negli Stati Uniti hanno fatto con Potere assoluto David Baldacci, autore del romanzo, e Clint Eastwood regista del film – che un ipotetico presidente della Repubblica, durante un appuntamento erotico con la moglie di uno dei suoi più importanti finanziatori elettorali, la uccide e tenta di soffocare il delitto e lo scandalo con l’aiuto dei servizi segreti, state attenti: ammesso che troviate un produttore disposto a produrlo, un noleggiatore disposto a distribuirlo e un circuito di sale disposto a programmarlo, in Italia rischiereste seriamente di finire in galera.
Ci è invece permesso di vedere tranquillamente il film di Baldacci e Eastwood perché il presidente di cui vi si parla, non è quello della Repubblica Italiana, ma quello degli Stati Uniti.»


Ottavio Jemma, cit, pag. 53

24 novembre 2005

Una tradizione di censura

«Ma non è del tutto colpa degli autori. Nel nostro paese esiste un clima, si respira un’aria, vorrei dire una consuetudine, una tradizione di censura che, al di là o al di qua delle leggi vigenti e della loro applicazione, è ormai penetrata nel loro stesso DNA. Le idee si formano nella loro mente già mutilate da una sorta di congenito spirito di sudditanza, una sorta di istinto che funziona come un freno automatico e li avverte che si possono spingere fino a quel punto e non oltre.

I veri poteri forti, i “grandi” poteri che controllano la nostra vita sociale e politica – ma anche la nostra vita privata, e dunque la cultura, lo spettacolo, – non sono mai stati chiamati in causa dal nostro cinema. Argomenti come il mondo dei grandi affari, delle multinazionali, delle banche, delle assicurazioni, del traffico d’armi e di droga, la grande corruzione della politica, sono rimasti fuori, o quanto meno appena sfiorati, ai margini del nostro cinema, anche di quello migliore.»


Ottavio Jemma, cit, pag. 50

21 novembre 2005

Un film americano

«La verità è – l’ho già detto, e Gassman ce lo conferma – che viviamo in un piccolo cortile alla periferia dell’impero. Un cortile in cui nel raggio di piccoli orizzonti circolano piccole idee, dove non è possibile agitare che piccoli problemi e non possiamo aspettarci che di produrre piccoli film, in una prospettiva che viene cortesemente chiamata, per l’appunto, “minimalista”.
(…)
È chiaro – voglio insistere su questo concetto – che quando si parla di “piccolezza” non ci si riferisce alla qualità poetica che, ripeto, può essere (ahimé, lo è assai di rado) altissima. Ci si riferisce alla profondità e alla prospettiva della visione, alla sensibilità verso i cambiamenti del mondo intorno a noi, verso il paesaggio esteso ed allarmante dei grandi conflitti umani, politici, religiosi, sociali, psicologici, tecnologici che hanno aggredito e sconvolto tumultuosamente la nostra vita a cavallo tra il secondo e il terzo millennio. Soprattutto verso le mutazioni che questi cambiamenti stanno producendo, o hanno già prodotto, dentro l’uomo stesso.

Se volete veder rappresentati con coraggio sullo schermo questi conflitti, se volete vedere crudamente illustrate le piaghe sanguinanti della società malata in cui viviamo: la tragica cecità che impedisce all’uomo di stabilire un rapporto “sano” con l’ambiente in cui vive; la corruzione fisiologica ed endemica della politica, della scienza, della giustizia; la perdita generale dei vecchi valori; la drammatica e quasi sempre inutile rivolta individuale contro lo strapotere delle grandi e piccole satrapie economiche e burocratiche e contro l’immunità di cui godono i loro abusi; o la rivolta feroce e ironica dell’intelligenza contro la miopia militare; la fine assoluta della “privacy” conseguente allo sviluppo inarrestabile dei sistemi di spionaggio; il cinismo spietato di certo giornalismo sciacallo; se volete gettare un’occhiata sull’ampiezza allarmante dei poteri incontrollati che sempre di più si concentrano nelle mani dei cosiddetti persuasori occulti o in quelle dei servizi segreti per manipolare e condizionare le nostre esistenza, le nostre scelte e persino le nostre coscienze (pubblicità e servizi segreti – dovrebbe ormai essere chiaro – sono le due più grandi piaghe della società contemporanea); se infine volete tentare di capire in che modo gli strumenti d’uso quotidiano della tecnologia avanzata (computer, Internet, videogiochi), o il suo impiego scientifico nei settori della ricerca che più direttamente interessano la nostra vita (medicina, bioingegneria, informazione, comunicazione, trasporti, relazioni umane) sta modificando i nostri sentimenti e, addirittura, il nostro metro di giudizio morale, allora è chiaro: è un film americano quello che dovete andare a vedere.»


Ottavio Jemma, cit, pag. 48

20 novembre 2005

Mercanti e laudatores

«Ma può accadere anche di fare una pericolosa confusione fra artisti assai diversi per importanza e serietà, oltre che per intenzioni e obiettivi, mescolando con imprudenza vecchie avanguardie, che hanno ormai l’unica funzione di denunciare e curare il fallimento delle rivoluzioni artistiche del XX° secolo, e “nuove” avanguardie, o postavanguardie, o transavanguardie dentro le quali si trova di tutto: onesta e confusa ricerca per indovinare (o contribuire a “decifrare”) il nostro futuro, ma anche disonesta furbizia che – con la complicità di un mastodontico apparato pubblicitario e il supporto interessato di mercanti e laudatores – ha il solo scopo di muovere denaro. Molto denaro. Ma qui il discorso diverrebbe lungo e sgradevole.»


Ottavio Jemma, cit, pag. 37

14 novembre 2005

Altri animali, acqueforti di Roberto Tonelli

Il nostro sguardo sugli animali sta cambiando. Anzi, forse, è già cambiato, soprattutto nei bambini, anche se si avverte una sempre nuova attenzione nei loro confronti sui giornali, sulla televisione, nei molti libri che parlano di loro.

Rispetto a questa tendenza, la mostra vuole essere un messaggio di rinforzo; con una chiave particolare: l’immedesimazione.

Come osserva il Nobel sudafricano John Coetzee, l’animale è l’altro per antonomasia, “solo l’immaginazione, la facoltà poetica per eccellenza, ci dà la capacità di entrare con il pensiero nell’essere dell’altro.”

E la mostra cerca di entrare in questa dimensione di immedesimazione (...)

13 novembre 2005

Lo scandalo non esiste più

«Ma già alla metà degli anni ’50, quando Max Ernst vinse il gran premio alla Biennale di Venezia, André Breton confidava malinconicamente a Buñuel: “Cosa vuole, amico mio, ci siamo divisi da Dalì, diventato un miserabile mercante; ed ecco che adesso Max fa la stessa cosa.” E scuotendo la testa aggiungeva: “È triste a dirsi caro Luis, ma lo scandalo non esiste più.”

Breton l’aveva capito mezzo secolo fa.

Oggi c’è qui da noi qualcuno che invece ancora non l’ha capito e ritiene sia possibile continuare a fare i rivoluzionari usando l’arma dello scandalo, vero o immaginario che sia. Ma si tratta di un’arma spuntata, uno scandalo da “piano terra”, anzi: uno scandalo da portineria, da scantinato.

Qualche esempio? La “coraggiosa e audace” performance di Roberto Benigni che, sul palcoscenico di una popolare trasmissione televisiva, osannava alla vagina proclamando allegramente a gran voce gli infiniti nomi che la tradizione popolare e dialettale le assegna; o in un noto programma notturno della TV destinato alla celebrazione del cinema d’autore e per solito altamente meritorio, i filmini di Ciprì e Maresco, vale a dire: la scoreggia come manifesto culturale.

Questa pseudo “nuova avanguardia” degli anni ’90 non è che un penoso rimestare, con almeno mezzo secolo di ritardo, tra i rifiuti di quella avanguardia che aveva almeno per ragioni cronologiche il diritto di chiamarsi tale. Quella avanguardia che, osservata oggi, con l’occhio del ventunesimo secolo e la premonizione di ciò che forse ci attende, comincia ad apparire per quello che è realmente: una retroguardia; la pattuglia di coda di una “cultura” che si allontana nel tempo storico fino a svanire: testimone e notaio di un decesso, piuttosto che di una rinascita.

Sarebbe ora di capire che scrivere “Il padre de li santi” e “La madre de li santi” più di 170 anni fa, come fece Giuseppe Gioacchino Belli in una città retta da un tetro governo clericale che comminava salatissime condanne per molto meno, poteva essere un coraggioso gesto di libertà. Fare la stessa cosa oggi, senza neppure il pregio dell’originalità, non è che un colpo di furbizia utile per fare soldi e carriera – proprio come si diceva – in una società di piccoli ottusi provinciali che credono, applaudendo, di apparire “moderni”.

E chi non sa cogliere la differenza che passa tra L’âge d’or e Cinico TV farebbe bene a mettere gli occhiali.»


Ottavio Jemma, cit, pag. 35

09 novembre 2005

L'American Way of Life

«L’American Way of Life è – forse cominciamo a sospettarlo tutti – un modello di vita suicida, un modello di vita che condurrà nel tempo il genere umano a distruggere del tutto l’ambiente in cui vive, e con il quale non è riuscito (malgrado il progresso, e a differenza di quasi tutte le alter specie esistenti) a stabilire un rapporto di intelligente convivenza. E lo condurrà inevitabilmente a distruggere, con il proprio ambiente, anche se stesso.

È documentato che, contrariamente alle attese, il “sistema” socioeconomico statunitense, invece di abbattere il dislivello di vita tra i più ricchi e i più poveri ne ha drammaticamente accresciuto la misura: nel paese più potente e più ricco del mondo, poche centinaia di persone dispongono di una ricchezza paria quella detenuta dai 50 milioni di cittadini meno abbienti. Ma è paradossale annotare che il tenore di vita dei 50 milioni di cittadini meno abbienti degli Stati Uniti appare “privilegiato” se raffrontato a quello di intere popolazioni che vivono in vastissime zone dei continenti africano ed asiatico, letteralmente decimate dalla fame e dalle malattie.

Il cinema americano è stato, ed è ora più che mai, - questo è probabilmente uno dei motivi profondi della sua forza e del suo fascino – il più efficace e suggestivo testimone d’accusa di questi conflitti e contraddizioni.

Il modello di società proposto dagli Stati Uniti d’America sta assumendo, e sembra fatale che sia così, il controllo del mondo. Il cinema americano, per suo conto, lo ha già fatto da tempo.»


Ottavio Jemma, cit, pag. 30

07 novembre 2005

Chi comanda il tempo

«Gigi Marsico, nella sua interessantissima riscoperta della Langa piemontese (“Sapori di Langa”, di Gigi Marsico e Gian Paolo Cavallero, ed. fuori commercio, a cura dell’Ufficio Stampa della P. Ferrero & C. s.p.a.) riferisce una malinconica, nostalgica riflessione di Sandro Carbone, detto “Brav’om”, nella sua osteria di Pruneto: “Il progresso è un bene, ma le donne, con tutti i loro elettrodomestici e i bucati più bianchi del bianco, hanno meno tempo delle nostre mamme che andavano a lavare al fiume. Quando noi si lavorava la terra con le nostre braccia eravamo più liberi di adesso che abbiamo i trattori e le macchine. Oggi c’è lavoro e con la fabbrica il soldo gira di più, c’è più sicurezza, ma una volta con due lire in tasca mi sentivo il padrone del paese, trovavo sempre due ore per andare ad aiutare un amico, o a far festa. Oggi facciamo fatica. Sembra di vivere anche noi in città, dove chi comanda il tempo è l’orologio e non il sole, com’è sempre stato in campagna.”»


Ottavio Jemma, cit, pag. 30

06 novembre 2005

Un giorno di ordinaria follia

«Ma proprio il cinema americano che negli anni ’20, ’30 e ’40 aveva proposto e promosso questo palingenetico cambiamento ne ha, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, colto le segrete contraddizioni, gli “scricchiolii”, mostrando spietatamente che la società opulenta si sta trasformando via via in una società “obesa”, arteriosclerotica, neuropatica, dove i vizi strutturali del vecchio modello capitalista e vetero-liberale, anziché sanarsi, si vanno inasprendo e incancrenendo.

È vero, per fare un esempio, che il progresso tecnologico ha procurato al lavoratore medio una quantità di tempo libero che appena un secolo fa il poverino si limitava a sognare; ma lo ha contemporaneamente riempito di una tale quantità di nuovi “bisogni” che questo tempo libero si è trasformato in una beffarda selva d’inganni. Le immagini delle spiagge trasformate in formicai umani e delle autostrade intasate dagli ingorghi sono lì a testimoniarlo. Le balere e le discoteche stracolme di giovani agitati aritmicamente dall’onda di un frastuono assordante chiamato impropriamente musica e dagli effetti stranianti dell’alcol e della droga, lo confermano. Il “tempo libero” è diventato una fabbrica di nevrosi. Ogni giorno della nostra vita può trasformarsi improvvisamente in Un giorno di ordinaria follia, come accade a Michael Douglas nel film diretto da Joel Schumacher.»


Ottavio Jemma, cit, pag. 28

05 novembre 2005

Delirare per un cadavere

«Ora mi preme dirvi che, mentre io accumulavo come scrittore qualche punto di merito in carriera nel campo del cinema, in quello della narrativa stampata le cose cambiavano; oggi so che se invece di scrivere un film avessi scritto un libro letto da cinque o sei milioni di persone, sarei (in lire del vecchio conio, per dirla con un noto conduttore televisivo) miliardario. Non l’ho fatto. Non lo sono. E ben mi sta.

Vorrei convincervi a non commettere lo stesso errore. Se avete in animo di abbracciare la professione dello scrittore di cinema, la seconda dritta che posso darvi è di riflettere bene su questa scelta: oggi come oggi, un narratore di talento che sappia riuscire gradito al pubblico guadagna di più scrivendo libri che scrivendo film.

Ma se proprio intignate, perché vi sentite consumati nel profondo del cuore dal “sacro fuoco” per la pellicola impressionabile, vi darò la quarta dritta, che è nello stesso tempo un mesto e forse inutile annuncio, perché la cosa è lì, sotto gli occhi di chiunque voglia e sappia guardare: state delirando per un cadavere.»


Ottavio Jemma, cit, pag. 23