Homo faber: artifex suae fortunae

Diario di bordo di Giancarlo Nicoli, titolare della Artifex. Sono qui ospitati: pensieri, aggiornamenti, notizie, progetti relativi alla casa editrice e al suo sito internet.

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Località: Italy

17 dicembre 2005

Ripetere questo giochetto

«Sul presupposto che vi fossero in Italia alcune centinaia di creature chiamate da una prepotente e ineluttabile vacazione ad abbracciare il mestiere dell’autore di film, e fosse loro negato da rigorose prescrizioni mediche di tentare – pena gravi rischi per la salute – una qualsiasi attività diversa quale, ad esempio, un impiego nella difesa ambientalista, un servizio civile o altro incarico socialmente utile, il nostro Stato, il nostro provvido e paterno Stato, predispose alcuni decenni or sono una legge che rendesse loro possibile soddisfare la prepotente, ineluttabile vocazione.

In base a tale legge, tutti i contribuenti, lo volessero o no, fossero o non fossero disposti ad andare a vedere i film realizzati da quelle povere creature malate di cinema, erano obbligati a pagare una piccola invisibile tassa, o se preferite una sorta di tacito obolo, per rendere possibile quell’opera di caritatevole misericordia.

Mi sia perdonata l’ironia, nella quale, vi prego di credermi, non c’è niente di personale nei confronti di quanti hanno beneficiato di tale obolo; anche i produttori di un paio di progetti firmati da me ne fecero richiesta, e una volta persino con successo. La mia ironia ha come bersaglio il principio amministrativo, il “progetto” politico-culturale – chiamatelo come volete – che stava dietro questa legge.

Intanto va detto subito che non si trattava di un prestito regolate dalle consuete norme bancarie. La legge prevedeva che i beneficiari di quel contributo non fossero tenuti a restituirlo se il loro film non incassava, se cioè nessuno andava a vederlo.

La sostanza della legge, secondo la sintesi che ne forniva nel suo sito Internet il Ministero dei beni culturali, diceva che: “… La caratteristica di tali prestiti, per i film di interesse culturale, consiste nell’essere assistiti da un Fondo di Garanzia.” E precisava che, “… trascorsi due anni dall’erogazione, le somme eventualmente non restituite dal produttore alla Banca, per insufficienza di proventi di mercato, sono coperte da questo Fondo nella misura massima del 70% del prestito concesso. Il restante 30% deve essere restituito, in ogni caso – dal produttore alla Banca Nazionale del Lavoro – entro 5 anni dal momento della concessione del prestito, pena l’impossibilità di ricevere, per tre anni, qualsiasi altro prestito o beneficio di legge.”

Riuscite a vedere la magagna?… No?… Allora provo a spiegarvela io.

Poniamo che io sia un produttore e proponga un film che viene approvato dalla commissione esaminatrice e ottiene dal fondo di garanzia il prestito di un miliardo di vecchie lire. Vi sono stati casi di film finanziati con molti miliardi (fino a dieci, e in qualche caso, pare, anche oltre), ma noi semplificheremo facendo un calcolo dimostrativo sulla base dell’ipotetico, unico miliardo.

Dunque, io produttore incasso il miliardo, realizzo il film e lo distribuisco, ma (facciamo l’ipotesi peggiore) non incassa un soldo. Devo restituire un miliardo, ma so già che il 70% di questa cifra (settecento milioni) è coperta dal fondo di garanzia. Non sono tenuto a restituirla. Mai. So anche che per restituire il residuo 30% (trecento milioni) ho tempo cinque anni, scaduti i quali, se non ho assolto il mio debito, non potrò più godere per almeno tre anni di altri fondi di garanzia.

Niente paura. Ho già proposto un altro progetto di film alla commissione esaminatrice; mettiamo che anch’esso venga approvato, e io ottenga in prestito un altro miliardo. Mentre realizzo il mio secondo film, “distraggo” da questo secondo miliardo i trecento milioni necessari a saldare il mio debito precedente; con gli altri settecento milioni faccio il film e lo immetto sul mercato. Neanche questo fa una lira d’incasso, ma che importa? Ho sempre solo trecento milioni da restituire e cinque anni di tempo per farlo, E intanto, presento alla commissione esaminatrice il progetto di un terzo film… Divertente, no?

Vi state chiedendo come faccio a realizzare il secondo film con “soli” settecento milioni, avendo dovuto “distrarre” trecento milioni dal secondo finanziamento per pagare il debito del primo?… Beh, non occorre essere il mago Casanova. Qualunque “onesto” produttore potrà facilmente spiegarvi, se vuole, come si possa con settecento milioni produrre un film da un miliardo. Questi piccoli miracoli amministrativi sono il pane quotidiano di certa nostra brillante imprenditoria cinematografica.

Si narra che qualcuno sia riuscito a ripetere questo giochetto fino a sei, sette… nove volte!…

Si narra anche – ma forse si tratta di leggende metropolitane – che qualcuno sia riuscito a farlo senza produrre effettivamente neanche un solo film!!…

Ma io non ci credo.

Mi rifiuto di crederci.

Sono quasi certamente fantasiose calunnie.

Anzi, lo sono assolutamente.»


Ottavio Jemma, cit, pag. 125

11 dicembre 2005

La ricerca della felicità

«Può sembrare superfluo, ma voglio ugualmente ricordare che la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America esordisce con la seguente proposizione generale: “Noi riguardiamo come incontestabili ed evidenti per se stesse le seguenti verità: che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili, che tra questi diritti sono, in primo luogo, la vita, la libertà e la ricerca della felicità.”

La ricerca della felicità!... Che sia questa semplice, sorprendente, coraggiosa, spregiudicata formulazione, il germoglio da cui si sviluppano le più azzardate spinte di riforma “morale”?

Con tutto il mio (e credo anche vostro) sincero e profondo rispetto, riuscite ad immaginarveli Palmiro Togliatti e Pietro Nenni, Alcide De Gasperi e Oscar Luigi Scalfaro che, nell’atto di fondare il nostro Stato, s’impegnano a votare per la difesa del diritto inalienabile dell’uomo alla felicità?

I padri della nostra repubblica, riuniti in un consesso costituito per circa la metà da cattolici e per l’altra metà in stragrande prevalenza da marxisti, non seppe trovare miglior fondamento e giustificazione all’esistenza del nostro Stato che... il lavoro.

Ma sì, lo sappiamo tutti bene: il lavoro nobilita l’uomo. E rende liberi. Lo scrivevano anche gli aguzzini delle SS sui cancelli d’ingresso dei campi di sterminio nazisti: “Arbeit macht frei”. Ma sappiamo anche che per i cattolici il lavoro è, insieme alla morte, la biblica condanna che si accompagnò alla cacciata dall’Eden; per i marxisti è il prezzo da pagare allo Stato in cambio del cibo e delle altre necessità elementari da cui l’uomo è afflitto (la felicità non vi è inclusa. Un po’ malinconico, non credete?»


Ottavio Jemma, cit, pag. 107

10 dicembre 2005

Volemosebbene

Come sapete, sono alla ricerca di collaboratori che siano in grado di scrivere recensioni per il sito Artifex. Di norma, chiedo agli aspiranti recensori di mandare una lista di libri da loro letti, tra i quali mi sia possibile "pescare" almeno un titolo che anch'io e/o Sgamarillo abbiamo letto. Il passo successivo è chiedere una recensione di prova; in questo modo siamo in grado di capire se noi e l'aspirante collaboratore abbiamo la stessa sensibilità di fronte al testo. Se "abbiamo letto lo stesso libro". Questo mi serve per avere recensioni di qualità e di sensibilità omogenee. Ciò che interessa non è presentare recensioni alla volemosebbene, melense, che mettano tutti d'accordo e di buon umore, quanto piuttosto ...

08 dicembre 2005

Preferite rimanere quaggiù?

«Dunque, se proprio avete deciso di mettervi a scrivere film in Italia, sarà bene che cominciate a capire “dove” vi trovate esattamente. Ho già cercato di spiegarvelo: siete al pianterreno di un’altissima torre dal cui terrazzo riuscireste a spaziare con lo sguardo su un orizzonte molto, ma molto più vasto. Preferite rimanere quaggiù? Peggio per voi. Quel che posso fare, da questa modesta altitudine, per aiutarvi a vederci un po’ più chiaro e un po’ più lontano prima di diventare vecchi, non è moltissimo.

Questo non moltissimo io l’ho imparato a mie spese, e ora è tardi perché possa servirmi a qualcosa; ma può servire a voi che state per cominciare, e sempre che siate disposti a dedicarmi uno scampolo di attenzione.»


Ottavio Jemma, cit, pag. 89

04 dicembre 2005

Al cinema, accovacciati per terra...

«Il “rito” del week-end serale al cinema è cambiato. È diventato un freddo cerimoniale privo di imprevisti, di code rissose davanti ai botteghini e di liti per il posto a sedere, o di rabbiosi inviti a non spingere e a non impallare lo schermo. Il calore del “bagno di folla” è un ricordo lontano.

Oggi, sull’esempio della tecnica distributiva americana, quei pochissimi film nazionali che si presumono destinati a un successo importante (un “Benigni”, un “Aldo Giovanni e Giacomo”, un natalizio “Boldi-De Sica”) escono contemporaneamente su centinaia di schermi; non ci sono resse per il biglietto, ma rare file composte, ordinate e sbrigative; e nessuno che sia obbligato ad assistere alla proiezione in piedi, tra grovigli di altri corpi, o accovacciato per terra nei corridoi centrali, immersi nella nebbia del fumo delle sigarette...

Voi non potete nemmeno immaginare quali emozioni vi siete persi...»


Ottavio Jemma, cit, pag. 87

01 dicembre 2005

Benvenuto Luca

Con molto piacere presento ai lettori il dottor Luca Ceccarelli. Nato a Roma, dove vive, il 14-5-1970, è laureato in lettere, giornalista pubblicista, autore di alcuni saggi di critica letteraria sulla poesia di Leopardi e di Petrarca e sulla narrativa di Primo Levi e di Anna Maria Ortese.

Di Ceccarelli mi ha colpito il fatto che non si è limitato a rispondere al famoso annuncio, con il solito cv e la solita lettera di presentazione, ma si è proposto con idee e suggerimenti.

Il primo articolo dalla capitale riguarda ...