Homo faber: artifex suae fortunae

Diario di bordo di Giancarlo Nicoli, titolare della Artifex. Sono qui ospitati: pensieri, aggiornamenti, notizie, progetti relativi alla casa editrice e al suo sito internet.

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18 maggio 2007

Semplice, fragile, dolce. In ricordo di: Grazina Didelyte (1938-2007)

di Enzo Pellai

Si riporta di seguito l'articolo di Enzo Pellai, pubblicato sull'ultimo numero de "L'ex libris italiano", la rivista dell'A.I.E. (Associazione Italiana Ex libris), con il permesso degli aventi diritto. È riprodotta solo una parte degli ex libris che corredano il servizio originale sulla rivista.



Fu la prima artista straniera che conobbi. Era l’agosto del 1978, e al Palazzo dei Congressi di Lugano si svolgeva il XVII Congresso Internazionale F.I.S.A.E. Da pochi mesi Mantero mi aveva catturato tra gli appassionati dell'ex libris. Mi sentivo come un uccello ancora privo delle penne remiganti. Me ne stavo appartato ascoltando coloro che si chiamavano per nome salutandosi. lo avevo con me il mio primo ex libris eseguito da Baj e stampato da Upiglio: ma nessuno ci faceva caso.

Per l’avvenimento che si svolgeva ogni biennio, erano stati organizzati due concorsi exlibristici ai quali partecipavano tanti artisti, soprattutto dei Paesi dell'Est, e tra questi una pattuglia di lituani, che allora facevano parte dell'Unione Sovietica. Il premio per il Concorso "Fondazione Fabio Schaub" ex musicis era stato attribuito a Grazina Didelyte.

Non avevo mai visto gli ex libris degli artisti lituani e rimasi sorpreso nel constatare che l'opera della Didelyte non aveva nulla da spartire con il Realismo socialista, né con l'abituale iconografia, che in modo stereotipato si ripeteva dall'inizio del secolo. Essa era fortemente intrisa di Simbolismo e comunicava sentimenti contrapposti di dolcezza e di angoscia. Dallo strumento di una suonatrice di flauto si innalzavano armoniose onde sonore, tagliate improvvisamente da una voragine nera, quasi fosse un urlo, di violenza tale da spezzare anche la cornice dorata entro la quale era in scritta la scena. Una ghirlanda di fiori faceva da ponte sul baratro, come se volesse affermare che il Parnaso ancora resisteva.

Non conoscevo nulla della storia e della cultura lituana, ma quello fu il momento in cui intuii che l'ex libris, quando è creato da un artista autentico e non solo da un bulinista abile in riproduzioni, è parte viva di una singola esistenza e, contemporaneamente, dello spirito del tempo. Quella musicante era per me l'allegoria dell'anima dell'artista stessa, ma anche di quella della sua nazione, allora ferita dalla durezza dei padroni arrivati, come altre volte, da fuori. Le scrissi in francese chiedendone una copia; più tardi ricevetti una sua lettera in tedesco che accompagnava l'opera. Capii che dovevo continuare a coltivare quell'esperienza per saperne di più, non solo della Didelyte e della Lituania, ma di una storia e di una cultura che era parte integrante dell'Europa da un millennio e che mi era sfuggita.

In seguito ci comunicammo in lingua lituana, a cui mi iniziò un anziano rosminiano rifugiatosi in Italia all'inizio della Il guerra mondiale. Ancora oggi, che la Didelyte ci ha lasciati morendo il 2 gennaio 2007, quell'ex libris è per me il passaggio chiave per capire tutta la personalità dell'artista. Era di una eccezionale sensibilità, che si esaltava al cospetto della natura. Si sentiva parte viva di essa, di cui avvertiva la sacralità, non come altro da Dio, ma come immanenza visibile nel divenire ciclico delle stagioni. Aveva viaggiato parecchio nella Russia caucasica, non in cerca di civiltà o di folclore, ma per cogliere la varietà infinita dei fiori, degli alberi, delle linee dell'orizzonte, della luminosità del cielo.

Venne a casa mia verso la fine degli anni Ottanta. Un giorno imboccammo con l'automobile un brevissimo tunnel sull'autostrada. Era, per lei, la prima volta che penetrava nelle viscere della terra ed ebbe come la sensazione di entrare in un luogo inviolabile. Il ritmo del suo cuore cominciò ad impazzire e rimase tale fin quando non uscimmo all'aperto. Ci stavamo dirigendo verso il Lago d'Orta. Quando, a mezzogiorno, ci trovammo seduti sulla piazzetta antistante l'isola di San Giulio, dal monastero delle suore di clausura le campane intonarono il loro breve concerto quotidiano; Didelyte ebbe un sussulto di meraviglia: era la prima volta in vita sua che udiva un suono così gioioso espandersi nel cerchio magico che ci accoglieva.

Da una decina d'anni non amava più vivere nella città. Vilnius era molto mutata dopo la fine del comunismo, che lei aveva contrastato non solo con la sua arte, ma anche in nome del diritto di essere lituana.

Amava la solitudine, il silenzio; per questo aveva deciso di vivere quasi tutto l'anno a Rudnele, un villaggio della Dzukija, lontano dai rumori, non ancora toccato da alcuna modernità.

Aveva acquistato una vecchia casa di legno posta sulla riva del piccolo fiume Skroblus. Lo scorso anno aveva restaurato un edificio rustico adiacente per esporvi i lavori che continuava a produrre e l'aveva chiamato "Galleria Andeiné", rievocando il nome di una divinità baltica protettrice di una vicina sorgente. Viveva in compagnia di un gattino.

Le facevano visita i contadini che avevano conservato le loro tradizioni secolari; gli animali selvatici, d'inverno, quando la neve rendeva difficile trovare di che nutrirsi, si awicinavano ogni mattino per ricevere il cibo.

Gli amici intellettuali che continuavano a vivere nella città non l'avevano dimenticata, anche se lei aveva abbandonato la vita artistica di Vilnius.

Erano arrivati in tanti per festeggiarla quest'ultima estate, quando espose i suoi lavori nella foresteria restaurata. La vigilia di Natale fu raggiunta dal cronista del quotidiano "Lietuvos Zinios", perché avevano scoperto che, in ricorrenza dei 10 anni di lavoro del segretario generale delle Nazioni Unite, era stato pubblicato un album omaggio che riproduceva un'opera della Didelyte, accanto a quelle dei più famosi artisti del mondo.
Nemmeno l'interessata ne era a conoscenza. Sfogliò il libro e al cronista che voleva sapere come si erano svolte le cose disse: "Non chiedermi dove e quando ho ricevuto questo riconoscimento. Ora mi interessa, soprattutto, osservare come lavorano i colleghi degli altri Paesi". Era aliena dal ricercare gli onori. Era semplice, fragile, dolce. Si presentava sobria nel vestire, naturale nel mostrare il suo volto, che poteva improvvisamente passare dal sorriso alla durezza di chi non transige sui compromessi morali e intellettuali. La vidi rifiutare doni che potevano esserle utili e denaro per lavori sui quali non poteva concordare.

Amava disegnare in formato miniatura. Un giorno mi mostrò due piccoli quaderni rilegati in cui teneva il diario della sua vita, raccontato con i disegni. Riportavano scene famigliari, ma anche le infinite forme che si osservano nella natura.

Le dissi che la paragonavo ad una allodola che vola alto nel cielo e che, da lassù, sa vedere e tendere al microcosmo che fermenta di vita.

Preferiva il colore verde, ma, dopo che viveva a Rudnele, era soprattutto il paesaggio invernale, bianco di neve, ad affascinarla. "Mi piace il colore bianco. Per questo amo molto anche l'inverno. Quando nevica tanto, i paesaggi e le linee della natura diventano evidenti e nitidi, la mente si riempie di idee, ed è così che mi nascono i lavori".

Era stata la sua passione per il disegno a farle scegliere di entrare all'Accademia d'Arte di Vilnius, specialità di Grafica. Si era ammessi a numero chiuso, perché i docenti potevano seguire solo un gruppo ristretto di allievi e Didelyte non aveva raccomandazioni (né mai ne chiese in vita sua).

Dovette parcheggiare tre anni in facoltà di Architettura e un anno a Chimica, prima di vedere realizzato il suo desiderio e diventare allieva del Prof. V. Jurkunas, dal 1961 al 1967.

Quando finì il corso di studi aveva ormai 29 anni, poiché era nata a Kaunas il 2 ottobre 1938. Si impose subito nell'ambiente artistico di Vilnius guadagnando nel 1971 il titolo di membro dell'Unione degli Artisti e diventando la preferita dai poeti della sua generazione, per i quali eseguiva dei disegni di commento alle liriche. Realizzava le sue idee con immagini di piccolo formato, per cui l'ex libris divenne una pratica a lei congeniale.

Mai decorativa o tentata dal racconto letterario, si esprimeva con assoluta libertà di invenzione, pur rimanendo aderente al tema che le era stato proposto.

Si sentiva a suo agio nell'affrontare sia i testi poetici che gli ex libris poiché entrambi hanno un linguaggio essenzialmente simbolico, cioè contengono molti più significati di quanto si può leggere in superficie o vedere nel reale dell'immagine.

Rimasi sorpreso quando ricevetti dalla Didelyte un libro di poesie di Justinas Marcinkevicius accompagnato dai suoi disegni, edito in 50 mila copie. Il popolo lituano, emarginato dai potenti, a partire dal XIX secolo ha visto nascere e ha amato i suoi poeti ed i suoi artisti, che hanno dato dignità e forza alla propria cultura, fino ad allora ignorata da quelle europee. Essi, ancora abbarbicati alla civiltà del villaggio, hanno riproposto a un Occidente ormai industrializzato, materialistica e razionalista, il rapporto sacro con la natura, vissuta come uno spazio segnato dal divino.

Quanto la Didelyte sapesse interpretare questi sentimenti intimi e contemporaneamente cosmici, più che le parole può spiegarla la miniatura che ha partecipato alla V Biennale della piccola grafica di Cluj, in Romania, e che qui riproduco dall'originale.

Nelle sue piccolissime dimensioni essa racchiude tutta la visione del mondo dell'artista. Il soggetto è un fiore di bosco (la stessa vita della Didelyte?) al centro di uno spazio immenso e luminoso quanto l'Universo. Il titolo dell'opera è "La lampada della palude" (Rudnele è circondata dalla foresta e da tanti stagni d'acqua), ma era stata inviata alla Biennale con una intestazione più allegorica, che il catalogo traduce con la parola "Luce".

Anche lo stile personale e inconfondibile, con il quale l'opera è realizzata, denota la maturità dell'artista, che in modo originale elabora il simbolismo cosmico e il primo astrattismo di M. K. Ciurlionis, per trasmettere le emozioni che affondano nell'intensità dell'esperienza vissuta.
La lingua lituana usa spesso il vezzeggiativo. Grazina era conosciuta dagli amici come Grazinute, e con questo nome affettuoso tutti i giornali hanno voluto ricordarla quando hanno riportato la notizia della sua improvvisa morte.

Quattro anni or sono, entrambi avevamo avuto la necessità di rimettere in ordine il cuore, ?irdis in lituano, ma tra amici, anche se anziani, si usa il diminutivo sirdele, ovvero cuoricino.

In quell'occasione, Didelyte fece alcuni pastelli che rappresentavano il cuore. Mi inviò le foto, una delle quali riprendeva l'opera regalata al suo cardiologo.

Incapace di immaginare una parte di sé slegata dalla natura che la circondava, aveva collocato il foglio su un cespuglio di fiori di bosco, come fosse la mensa di un altare. Sul retro della foto mi aveva scritto: "Ecco il cuoricino che con noi due scende in sciopero ... Questo lavoro, fotografato accanto al mio fiume, si intitola "I farmaci del cuore". Ho disegnato le erbicine medicinali, che rinforzano il cuore (Crataegus, Convallaria, Leonurus, Digitalis, Valeriana) e, con esse il pettirosso, il cui petto è colorato dalle stille di sangue del cuore".

Due anni dopo, avendo anch'io superato alcuni dei miei problemi cardiaci, le chiesi un ex libris che avesse come soggetto il cuore, che qui riproduco senza ulteriori commenti.

Addio, Grazinute.

(Alcune illustrazioni sono qui)

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Ottavio Jemma vi invita a visitare il suo sito

http://web.mac.com/ottavio.iemma.mac

giovedì, 31 maggio, 2007  

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